Il Napoli sul tetto d’Italia dopo 33 anni. Renica: “Scudetto della programmazione”

L’impronta di gioco che Luciano Spalletti ha dato al Napoli è chiara e si basa su caratteristiche ben precise: le prerogative principali del gioco dei partenopei prevedono il dominio della partita tramite un possesso palla continuato, la ricerca del gol attraverso una fitta rete di passaggi e un serrato pressing offensivo per la riconquista immediata del pallone. Grazie a questi e ad altri dogmi, la squadra partenopea può vantare il miglior attacco in assoluto e la miglior difesa del campionato e il prossimo anno non sarà semplice replicare una tale impresa senza l’allenatore toscano in panchina. Lo sanno bene i tifosi che hanno seguito il Napoli in ogni occasione, da ogni parte d’Italia e sfruttando ogni mezzo disponibile (dalla TV a internet, con collegamenti vari e ogni genere di VPN) e lo ha spiegato anche Alessandro Renica – storico difensore del Napoli che è intervenuto per commentare lo Scudetto conquistato dai partenopei. Andiamo a leggere insieme le sue parole.

Renica e il parallelo tra gli Scudetti: “Tanti punti di contatto, anche se…”

La gioia e la soddisfazione del primato per Renica sono impareggiabili: “La stagione 1986-1987 resterà per sempre nella memoria dei tifosi napoletani, il primo scudetto d’altronde non si scorda mai. Viene considerato ancora oggi come una sorta di riscatto per una città che in quegli anni non se la passava certo bene tra terremoti, povertà e criminalità organizzata. Un’annata incredibile che ci vide realizzare anche una clamorosa doppietta grazie al successo anche in Coppa Italia. Quest’anno invece è lo scudetto della programmazione, del progetto, di chi ha dimostrato con i  fatti che le idee contano spesso più dei soldi. Stavolta non c’è nessun riscatto della città che da anni è una vera e propria metropoli, una capitale europea che fa scuola in diversi settori, dalla moda, all’arte, passando per il teatro e la cultura”.

Non solo, ma una vittoria figlia di un’organizzazione aziendale tanto decantata da fare invidia anche ai club più blasonati del nostro Paese: “Il “mio” Napoli era reduce da stagioni non certo esaltanti e viaggiava molto spesso a metà classifica. Arrivato Maradona gli bastò solo un anno di ambientamento per stravolgere tutto. Un tricolore inatteso, arrivato prima di ogni più rosea aspettativa. Nelle ultime stagioni invece gli azzurri sono quasi sempre stati competitivi per il titolo, sfiorandolo nel 2016, nel 2018 e lo scorso anno. Le prove per il terzo sigillo non sono quindi mancate ma paradossalmente il trionfo è arrivato quando nessuno se lo aspettava, ovvero dopo gli addii di Insigne, Mertens, Koulibaly e Fabian Ruiz. Come il Pibe de oro però, Spalletti ha ribaltato i pronostici al secondo tentativo, dimostrando che le sue idee di calcio e il gruppo sono superiori al singolo. Sì, alla sua domanda rispondo affermativamente, per me il Napoli di De Laurentiis e Spalletti può aprire un ciclo vincente in Italia e in Europa”.

Tanti punti di contatto e, al tempo stesso, le distanze restano importanti tra i due Scudetti: “Innanzitutto il Napoli del 1986-87 poteva contare sul giocatore più forte al mondo ovvero Diego Armando Maradona. Oggi Osimhen è l’uomo simbolo del Napoli, ma Diego non solo è stato il più forte al mondo ma anche un trascinatore solitario. Inoltre il Pibe de Oro era l’unico straniero in gruppo, ma ovviamente parliamo di un’altra era calcistica con regole assai diverse dai giorni nostri. Quest’anno invece, la banda Spalletti ha dimostrato di essere forte come collettivo. Osimhen ad esempio, quando è mancato, è stato sostituito egregiamente da Simeone che non ha fatto rimpiangere la sua assenza, tutt’altro. Nel Napoli del terzo scudetto tutti si sono rivelati utili ma nessuno indispensabile, la stessa cosa non si può dire certo per un giocatore come Maradona”.

 

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